Yes we can: quando la bocciofila ti svolta la giornata



E' un sabato di fine aprile, io e mio marito, dopo settimane di trasferte e weekend passati a scrivere programmi per la TV e pianificazioni, ci facciamo coraggio e proviamo a riprendere il TO DO LIST della lavagna IKEA in cui, scolpito con l'inchiostro cancellabile, riscopriamo l'elenco dettagliato delle mostre, dei film, dei ristoranti e dei locali in cui non andiamo da un po'.
Così partiamo dai fondamentali: un banalissimo brunch condito con centrifugato "pseudo-salutista" e mostra in Tortona, finalmente salva e liberata dalla fuffa modaiola e pseudo alternativa della settimana del maledetto, temuto e odiato Salone del Mobile.

Tutto da copione, usciamo soddisfatti. Peccato che nessuno quando cerchi di venderti un centrifugato digestivo a base di zenzero ti sveli in anteprima che continuerai a riviverlo per tutto l'arco del pomeriggio.
Così, con le fauci arse da tutto quel green, cerchiamo invano un concetto così poco caro al trendy design di Milano: quello di bar. Non uno che abbia necessariamente un concept o un layout che lo distingui dal temibile mercato concorrente, ma uno di quelli in cui gli asset del benchmark lo vedano perdente in tutto.

Nulla: solo una latteria è aperta, fino a quando, nascosto da un ristorante fighetto e super chic, intravediamo da dietro le quinte un fantastico e onirico campo da bocce, con tanto di bar anni Sessanta ancora genuinamente intatto e una empatica (finalmente) e altrettanto genuina barista dai capelli blu-viola.
Eccolo, è finalmente quello che fa per noi: non possiamo che entrare per goderci la nostra tanto agognata e banalissima lattina di Coca-Cola, versata in un bicchierone traboccante di ghiaccio e limone.

Il tavolino è proprio di fronte al campo, in cui si sfidano a colpi di bocce e boccino 4 meravigliosi e rari esemplari di maschio milanese doc, che ha superato da un po' i 75 anni, ma è ancora talmente vivo, burbero e antipatico da non poter essere che amato alla follia. Attorno a loro una folla di altrettanto datati e meravigliosamente inaciditi over 70, divisi tra Milano e Catanzaro, che commentano e aizzano i giocatori.

Io e mio marito non capiamo bene le regole, ma è come essere in un videogioco vivente e ne veniamo rapiti, forse anche perchè il quartetto è un incrocio tra uno sketch di Gino Bramieri e il sequel di Romanzo Criminale 20 anni dopo (Rai Fiction Edition).

Partiamo dal primo: l'Head Of Bocciofila
Lo si riconosce subito dal maglione: blu scuro con riga gialla e colletto giallo anni Settanta.
I suoi colpi sono quelli decisivi, controlla e commenta tutti, è il leader naturale del gruppo insomma.
Il modus operandi distintivo sono le braccia incrociate dietro la schiena, l'ex cathedra mobile che gli consente di ontologizzare ogni suo giudizio.

Poi segue l'Hipster ante litteram
Pochi sanno che è Pollock ad aver lanciato questo concetto oggi tanto abusato quando ancora erano gli Anni Sessanta, e lui di certo non è tra questi pochi, ma non importa. Lui è hipster intrinseco e lo si capisce dalla camicia a quadri blu e bianchi e dal cappello gadget del benzinaio di fiducia quando ancora era in vita. I suoi colpi sono di tutto rispetto, anche se guarda il tutto con un noncurante menefreghismo, ecco perchè il suo tratto distintivo è la mano in tasca.

Terzo classificato per il Trendy
Lui la moda ce l'ha dentro, perchè la polo blu a righe bianche è perfettamente in tinta con il cappellino, forse comprato quando ancora Sergio Tacchini era un brand noto e riconosciuto (almeno da lui). Fantastico il suo stile e il sorriso compiacente, quegli stessi con cui sfilava in piazzetta a Portofino e che ora riporta sul palco del campo, condividendolo morigerato con il pubblico che proprio non gradisce i suoi colpi diciamo pure poco efficaci.
Lui le mani non può tenerle in tasca, molto meglio lasciarle sui fianchi.

Chiude il giro l'immancabile Dandy
Niente scarpe da tennis o t-shirt, per lui la classe va mostrata sempre, anche quando è solo sabato e si è solo con gli amici della Bocciofila.
Così eccolo il pullover azzurro, perfettamente in tinta con il pantalone blu e il mocassino marrone in pelle. Fiero mostra quello che i suoi compagni di gioco hanno in parte perso durante il corso degli anni: una folta chioma grigia.
Nessun tratto distintivo per lui, se non lo sguardo fiero e deciso, con cui sfila tra gli altri, concludendo ogni manche con risoluto cipiglio.

La Coca-Cola non riusciamo a finirla, nonostante l'ora passata immersi davanti a quel teatro avanguardista naturale, ma la sete è passata e la lavagna della Bocciofila con Yes We Can scritto con il gesso ci porta a rassegnarci all'idea che a Settantacinque anni sarà difficile immaginarci giocare a bocce con un centrifugato alla carota in mano.











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