Interstellar: molta scienza, ma la narrazione?

Ancora ci stiamo chiedendo  se la trottola di Di Caprio di Inception sia caduta o meno ed ecco che arrivano le nuove grandi domande sui finali cinematografici di Cristohper Nolan, in particolare sul suo ultimo lavoro Interstellar.

Da giorni social e blog si separano in modo netto tra favorevoli e contrari, tra astrofisici che cercano di dare una spiegazione quantistica alla teoria alla base del film, fino addirittura a sostenerne la plausibilità del finale, e spettatori incapaci di credere se questo sia lo stesso regista dei mondi sospesi tra onirico e reale.
Non sono un fisico e Nolan è prima di tutto un "drammaturgo", quindi al di là di capire quanta attendibilità ci sia alla base della costruzione di un intreccio in cui spazio e tempo si confondono alternando l'uno la naturale dimensione dell'altro, la vera domanda a cui so cercando risposta è il perché di certe scelte narrative.

Andiamo con ordine: il primo punto è sicuramente quello delle tesi scientifiche. Alla base ci sono anche stavolta le teorie del relativismo e in particolare, provo a dirlo con parole assolutamente mie, l'alternarsi delle dimensioni spazio e tempo in sistemi e in galassie diverse da quelle a cui appartiene la Terra. Detto male, ma il senso è se attraversando buchi neri e altri buchi "caldi" è possibile accedere in modo diretto a questi sistemi terzi dove nuovi mondi possibili potrebbero vedere la luce.

Se questo approccio viene chiaramente sostenuto da teorie quantistiche più o meno dimostrate, e l'interesse della comunità accademica ne è la prova, la mia vera critica è su come Nolan avrebbe potuto utilizzare queste teorie per costruire un plot che non trasudasse il confine di ciò che è a tutti gli effetti etichettatile come fantascienza.

Da Nolan continui ad aspettarti quel mix di scientificità e drammaturgia spinta, di intrecci che non necessariamente devono avere il supporto di modelli matematici ed è questo il fascino della sua filmografia. Stavolta, invece, la sensazione è proprio quella di un film talmente delineabile attraverso un'equazione che finisce per perdere tutto il fascino del non detto.
Stavolta è davvero sufficiente rivedersi il finale per capire che la prima lettura era quella giusta o quella sbagliata, e il dubbio rimane solo a corredo delle domande di natura scientifica.

Da sottolineare in modo positivo, se non altro, i personaggi "grigi" inseriti nel film: Matt Damon, eroe codardo, e il dott. Brand, scienziato dotato di un barlume di interessante cinismo.

Inutile l'interpretazione della Hathaway, inespressiva almeno quanto il suo personaggio.

Film da vedere? In ogni caso sì, se non altro per alimentare il thread dei trend topics: #favorevoli o #contrari?

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